Pubblico qui alcune righe e versi.
Qualcosa è anche su carta.

venerdì 27 agosto 2010

per Cesare Pavese

"Tutto questo fa schifo. Non parole. Un gesto. Non scriverò più."
Così Cesare Pavese chiude "Il mestiere di vivere" il 18 agosto 1950.
Nove giorni dopo, il ventisette, da una stanza d'albergo torinese se ne andrà per sempre. Qualche bustina di sonnifero, e via.
Per dove ha poca importanza. Verso i Mari del Sud, nella grande democrazia dei morti, nella terra o altrove.
Via ma non per sempre. Per sempre, invece, la sua opera. In pochi anni (era nato nel 1908): saggi, traduzioni, poesie, racconti, romanzi. Da "Lavorare stanca" a "Moby Dick" tradotto, da "Paesi tuoi" a "La luna e i falò".
Il mito, e l'intelligenza di ascoltarlo e tramandarlo prima di "capirlo".
Talvolta bisognerebbe andare a Santo Stefano Belbo, in quella terra di barbera e tartufi, di canicola metafisica e nebbia. C'è la sua casa, grande, contadina; con il bianco pulito dei muri, le fotografie "seppia" e l'odore muffoso e appetibile d'armadio a muro e di credenza. La terra a cui in silenzio tornava: un paese vuol dire non esser mai soli...
E bisognerebbe talvota leggerlo, o rileggerlo.
Chi sa se la giovane attrice Constance Dowiling avrà poi letto e riletto le sue poesie e il romanzo, l'ultimo, a lei dedicato. Mi piace pensare di sì, vedere come in un film americano.
Chi sa...

...Acqua chiara, virgulto
primaverile, terra,
germogliante silenzio,
tu hai giocato bambina
sotto un cielo diverso,
ne hai negli occhi il silenzio,
una nube, che sgorga
come polla dal fondo. ...

Io, per me, è stato un compagno di scuola. E, fino a quando capiterà, ne parlerò e ne scriverò.